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Napoli est un disastro irrisolvibile

Napoli (Campania), 2017

© Alice Tinozzi

Napoli è la città con il più alto tasso di natalità e con il più alto tasso di mortalità infantile per l’insalubrità ambientale, secondo lo studio “Osservatorio oncologico”.

Alle spalle della stazione Napoli Centrale inizia il polo industriale che ricopre cinque quartieri, tra cui San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli. Questa zona, chiamata Napoli orientale – o Napoli Est – è stata dichiarata sito di interesse nazionale nel 1998 e occupa circa 830 ettari in cui vivono circa 250.000 persone. Qui operano oltre 500 aziende ed è possibile suddividere l’area in: polo petrolifero (345 ha), zona Gianturco (175 ha di attività manifatturiere), zona Pazzigno (200 ha aziende di piccole dimensioni) e fascia litoranea di San Giovanni a Teduccio (110 ha con grandi insediamenti dismessi, la centrale termoelettrica e il depuratore).

Nel 2007 è stata sottoscritta la “Definizione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle aree di Napoli Est”, incentrata soprattutto sulle analisi delle falde acquifere. Tutto è rimasto fermo fino al 2015 in cui,  a causa di un’anomalia dell’acqua corrente tra il 28 e il 29 ottobre, sono partiti l’inchiesta, ancora in corso, e il sequestro preventivo di alcuni depositi della Kuwait (Q8) per 239 milioni di euro con l’accusa di aver smaltito illecitamente 42.000 m3 di acque oleose.

Tra il porto industriale, i depositi e le falde si innesca un ciclo che rende invivibile la vita di tutti giorni agli abitanti della zona per l’odore acre che si diffonde tra le case, l’inquinamento invisibile del territorio e quello visibile del paesaggio. Napoli orientale è nascosta dalle pile dei container e le industrie ne paralizzano il transito con i loro alti muri di cinta. Il lungomare, una volta caratterizzato dalle case dei pescatori, oggi è noto per le rumorose industrie, le navi cargo, le petroliere e gli scarichi a mare non controllati. La popolazione utilizza le poche spiagge rimaste e vive come se nulla fosse, distratta dal bisogno di lavorare.

Nel 2012 è stato commissionato dall’ex assessore alle Politiche Giovanili, la dott.ssa Giuseppina Tommasielli, il progetto “osservatorio oncologico”, uno studio retrospettivo fino al 2008 che utilizzava tre banche dati sulla mortalità per tumori nelle dieci municipalità di Napoli. Nella zona orientale sono emersi picchi di criticità per il tumore alla vescica, causato proprio dal petrolchimico che per anni ha inquinato il territorio.

Nulla è cambiato dall’esplosione del deposito Agip nell’85 dove presero fuoco 35 mila metri cubi di carburante. Ancora oggi ettolitri di gas e benzina attraversano nell’oleodotto il quartiere di San Giovanni a Teduccio, dal porto fino ai depositi dietro la Stazione Centrale. Per affrontare la possibile strage il comune di Napoli ha redatto un piano di evacuazione mai divulgato e, come dicono i residenti: «per quanto possa essere preciso e accurato questo piano è sempre riduttivo perché siamo una città intera densamente popolata che vive su una polveriera».