PUERTO ESCUSO

Portovesme (Sardegna), 2014

© Federica Mameli

Portoscuso - il suo antico nome spagnolo Puerto Escuso significa porto nascosto, a quel tempo da alte dune di sabbia - era un piccolo borgo di baracche abitate da tonnarotti durante le stagioni di pesca.  

Il polo industriale di Portovesme nasce alla fine degli anni Sessanta, con l’obiettivo di supplire alla crisi delle miniere sarde che avevano dato lavoro alla zona sud-occidentale dell’isola. Così questo angolo di Sulcis - terra di miniere, vigneti, pastori e pescatori - cambia pelle e accoglie otto chilometri quadrati di fabbriche, ciminiere e discariche affacciati sul mare. Sono in molti a pensare che la deturpazione ambientale di oggi sia il risultato di un accordo tra la classe politica e gli industriali, ossia promesse di benessere e lavoro in cambio di un uso spregiudicato del territorio. L'isolamento geografico, l'inadeguatezza delle amministrazioni locali e le solite abitudini corruttive, accompagnate dalla mancanza di controlli, hanno permesso che tutto accadesse.

Dai primi anni Novanta la raccolta dell’uva e la produzione del vino sono proibite a causa della contaminazione da piombo. Negli ultimi mesi si sono alternate ordinanze che vietano agli allevatori locali la commercializzazione del latte, delle carni ovine, caprine e bovine. E ancora più recentemente nuovi provvedimenti vietano la raccolta di molluschi e granchi e limitano il consumo di prodotti ortofrutticoli.
Sorvegliato speciale è il bacino di fanghi rossi, una discarica sul mare a poche centinaia di metri dai centri abitati, in cui per vent’anni sono stati stipati venti milioni di metri cubi di residui per la produzione dell'allumina. Una bomba ecologica lasciata in balia delle intemperie che ha il colore rosso della bauxite e che dall'alto, con un'estensione di 185 ettari, fa paura.
A poche centinaia di metri una distesa di 10 tende accoglie il presidio permanente dei lavoratori, diretti e indiretti, dell'Alcoa, multinazionale americana che ha abbandonato Portovesme lasciando i suoi operai senza lavoro, con la cassa integrazione scaduta. 

Quarant’anni dopo l’arrivo dell’industria pesante - che nell'ultimo decennio ha imboccato la sua fase di graduale abbandono del polo - la catena alimentare dell’area e delle zone limitrofe appare compromessa, con un serio incremento nella popolazione di patologie tumorali e asbesto-correlate. 
Questo reportage vuole raccontare il silenzioso conflitto umano e ambientale in atto nel Sulcis e il bisogno disperato di bonifiche e riconversione industriale di quella che viene definita la provincia più povera d'Italia.