Taranto, una città normale

Taranto (Puglia), 2013

© Federico Roscioli

Taranto è l’emblema di uno sviluppo industriale sregolato che produce conseguenze ambientali e sanitarie drammatiche per il territorio e chi lo abita. Ma Taranto è anche una città diversa da quella raccontata dai media nazionali se si presta attenzione a coloro che non si arrendono all’inquinamento e al ricatto occupazionale, ma lottano per cambiare e migliorare la propria città. È così che nascono Ammazza Che Piazza, un gruppo di ragazzi che riqualifica parchi e piazze della città da due anni; il Comitato dei Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti che conduce un’attività di denuncia e sensibilizzazione ai temi ambientali; o iniziative come La settimana europea per la mobilità alternativa, nate grazie all’impegno delle associazioni The Howlers e Cirano, e con il patrocinio del Comune di Taranto. 

La normalità di Taranto è particolare, forse unica. L’accostamento dei record che riguardano questa città ricca di storia, tesori d’arte e degrado ha del paradossale: ospita il più grande centro siderurgico d'Europa, la più grande base navale militare d’Italia e uno dei più grandi porti commerciali del Mar Mediterraneo. Negli anni Settanta è stata la città del meridione con il reddito pro-capite più alto ma nel 2012 si è classificata ultima tra le 107 province italiane per qualità della vita e il Comune ha subito il più grande dissesto finanziario in Italia nel 2006. La pesca e la caratteristica coltura di ostriche e cozze, dovuta alla particolarità dei suoi due mari, sono state annientate dall’inquinamento industriale. Qui si produce il 92% della diossina italiana e l’8,8% di quella europea e rispetto al resto della provincia a Taranto si riscontra un aumento delle malattie tumorali del 30% per gli uomini e del 20% per le donne. 

Risale al 26 luglio 2012 il primo provvedimento cautelare a carico della dirigenza Ilva per disastro ambientale. Il 20 dicembre 2012 il Parlamento approva il primo decreto legge “Salva Ilva” che attribuisce a Taranto lo stato di "area in situazione di crisi industriale complessa" e ne proroga i tempi di bonifica per permettere al sito industriale - classificato economicamente di “interesse nazionale” - di continuare la sua attività. A oggi ogni provvedimento giudiziario, dovuto al mancato rispetto dei tempi di bonifica e conversione della fabbrica, è stato puntualmente contrastato da un decreto legislativo o da un interessamento del governo. Perché? Com’è possibile? Chi continua a permettere che ciò avvenga?