I CUSTODI DELLA MONTAGNA

Aspromonte (Calabria), 2018

© Jacopo La Forgia, Michele Spatari

La Calabria è uno dei territori europei più devastati dal fuoco, solo nel 2017 un sesto della superficie boschiva è andato in cenere. Mentre il resto della regione va a fuoco ogni estate, c’è però un luogo che non brucia: l’Aspromonte.
Gli incendi, che in Calabria hanno nel 98% dei casi origine dolosa e colposa, vengono appiccati per creare pascoli o terreni edificabili, alimentare il business della riforestazione, aumentare i consensi elettorali tramite lavori stagionali, porre in atto ritorsioni contro amministrazioni non collaborative. «È stato preso di mira e violato in modo deciso il patrimonio boschivo dei parchi nazionali», ha detto Carlo Tansi, capo della Protezione Civile Calabria, alla fine della disastrosa estate del 2017. A causa delle infiltrazioni criminali e delle incapacità amministrative lo spegnimento e la prevenzione sono raramente efficaci. 
Il Parco Nazionale dell’Aspromonte costituisce un’eccezione: nell’area naturale protetta nella provincia di Reggio Calabria, generalmente conosciuta come roccaforte della ‘ndrangheta, il fenomeno degli incendi è contrastato in maniera efficace. Ciò è possibile grazie a una rete locale di monitoraggio, attivata negli ultimi cinque anni coinvolgendo pastori e volontari locali nell’avvistamento e nello spegnimento degli incendi.
«Se non era per noi [pastori], l’Aspromonte ora sarebbe in cenere» dice Domenica Romeo, una pastora-sentinella che, mentre pascola le capre, controlla che nel suo territorio non scoppino incendi.
I pastori vengono ingaggiati dal Parco Nazionale come custodi, gli viene affidata una porzione di territorio da controllare e se non ci sono incendi gli viene riconosciuto alla fine dell’anno un compenso che varia dai 300 ai 400 euro. Ma a motivarli non è l’interesse economico: è l’investitura come custodi delle montagne a spingerli a difendere il proprio territorio, per cui hanno un amore viscerale. “C’è gente che non ha idea del valore che sta bruciando. […] Come bruci questo che un altro anno ritornerà ad esserci, bruci quello che ci vuole dieci anni per crescere” dice Nino Nucera, anche lui pastore-sentinella, parlando degli episodi che in passato vedevano coinvolti gli stessi pastori nell’appiccamento degli incendi. 
Per le associazioni volontarie che operano sul territorio viene stipulato lo stesso tipo di contratto di responsabilità. In un’area che dagli anni Cinquanta ha subito uno spopolamento sempre più rilevante – una forte emigrazione verso la costa ionica e verso le regioni del nord Italia –, coinvolgere nella lotta agli incendi coloro che restano, che hanno con la propria terra un legame profondo ha condotto a ottimi risultati: «abbiamo annullato gli incendi boschivi», ha dichiarato nel 2017 Giuseppe Bombino, il Presidente del Parco Nazionale dell’Aspromonte.
All’interno del sistema di salvaguardia del Parco vengono coinvolti molti giovani per i quali, nella quinta regione europea per tasso di disoccupazione giovanile (il 55,6% nel 2017 – dati Eurostat), far parte di una cooperativa volontaria per lo spegnimento degli incendi costituisce un atto di amore verso il proprio territorio. «Il Parco è come un parente, è parte di noi», dice Damiano Priulla, un ragazzo di 26 anni, vedetta durante l’estate.
L’Aspromonte è principalmente noto alle cronache per fatti di ‘ndrangheta, una delle organizzazioni criminali più potenti al mondo, che in Europa controlla il 70% del business della cocaina, gestisce racket di estorsioni da miliardi di euro, ha un ruolo chiave nel traffico delle armi e che nell’area dell’Aspromonte appicca incendi per far spazio alle coltivazioni di marijuana, di cui nel solo 2015 nella provincia di Reggio Calabria sono state sequestrate 13.132 piante.
Eppure, i pastori, i volontari e la protezione civile riescono a tenere lontano il fuoco e in Aspromonte gli incendi sembrano non bruciare: i custodi della montagna sono, come scrive Corrado Alvaro, persone con «la pelle dura da affilarci il rasoio».