VELENO IN PARADISO

Bussi sul Tirino (Abruzzo), 2014

© Stefano Gallo

Nel paradiso dei parchi nazionali d'Abruzzo (Gran Sasso e Majella), a pochi chilometri da Pescara, tra boschi, riserve naturali e fiumi rigogliosi si nasconde quella che è considerata unatra le discariche più grandi d'Europa. E’ legata alla storia del polo chimico di Bussi sul Tirino e chiama in causa gli enti regionali di gestione dell'acqua e un gigante dell'industria chimica come Montedison. 

L'origine del polo è traumatica: nel 1898 la società franco-svizzera Elettrochimica Volta inizia i lavori per la derivazione del fiume Tirino e nel giro di poche settimane contadini e artigiani diventano operai e impiegati nel primo impianto italiano di elettrolisi del cloruro di sodio e Bussi la prima città operaia abruzzese. Nel 1921 la svolta definitiva, quando la Società Elettrochimica Novarese, controllata dal Gruppo Montecatini, genera la totale industrializzazione dell’alta Val Pescara e lavoro per 18.000 operai, tanto che nel 1926 viene anche costruito un vero e proprio villaggio operaio. Dagli anni Sessanta al 2000 subentrerà nella proprietà la Montedison.

Gli onori di questa storia industriale si incrinano nella primavera del 2007 quando, nella valle del fiume Pescara, viene scoperta appunto una discarica abusiva della superficie pari a venti campi di calcio, per un totale di 500 mila tonnellate di rifiuti tossici. Il conseguente processo vede imputate diciannove persone tra ex vertici della Montedison (accusati di disastro doloso e avvelenamento delle acque) e otto dirigenti delle società dell'acqua in Abruzzo Ato e Aca (accusati di commercio di sostanze contraffatte e di turbata libertà degli incanti), questi ultimi già usciti dal processo perché «il fatto non sussiste».  Eppure l'acqua contaminata potrebbe essere uscita dai rubinetti delle province di Pescara e Chieti, anche se non ci sono certezze sul caso e tutta la vicenda presenta molti punti da chiarire. Restano comunque sotto accusa i vertici della Montedison, per reati che prevedono la reclusione da tre a dieci anni.

A oggi i rifiuti permangono nella valle, c'è un telone che ricopre le zone contaminate e si aspettando i fondi per la loro bonifica, che al momento non ci sono. Servono circa 150 milioni di euro, ma intanto l'acqua piovana e il fiume scorrono sul terreno avvelenato contribuendo a far girare le sostanze tossiche. C'è da chiedersi in quanti altri paradisi d'Italia le ruspe dovrebbero cominciare a scavare.