MARINE LITTER

Isole Tremiti (Puglia), 2018

© Bianca Simonetti

Partendo dalle Isole Tremiti per risalire le correnti marine superficiali, segnando coordinate e rotta della plastica alla deriva, ne risulta l’immagine di un Mar Adriatico che sta lentamente soffocando. E’ facile prevedere quante miglia nautiche possa percorrere in 30 anni una busta di plastica, prima della sua totale decomposizione. Buona parte delle plastiche che si trovano sui fondali adriatici derivano dalle attività di pesca e mitilicoltura, ma anche i rifiuti urbani danno un grosso contributo e, dato che l’inquinamento marino non conosce confini, infiniti frammenti di oggetti gettati in mare si accumulano anche in aree protette o in zone teoricamente lontane da sorgenti di inquinamento. La pericolosità delle microplastiche sta nelle ridotte dimensioni, che le rendono facilmente ingeribili dagli organismi marini e, nella loro superficie porosa, in grado di assorbire facilmente inquinanti organici riversati in mare. Per tutelare le Isole Tremiti dal fenomeno del beach litter e del marine litter, il loro sindaco, Antonio Fentini, ha firmato un’ordinanza per mettere al bando contenitori e stoviglie monouso non biodegradabili. E proprio sulle Diomedee, è stata realizzata la campagna Clean Up, di pulizia dei fondali e delle cale di San Domino, San Nicola e Capraia, avviata dal Parco nazionale del Gargano e realizzata grazie al coinvolgimento dei tre centri di immersioni operanti all’interno dell’area protetta: Marlin Tremiti, Blue Tremiti e Aquodiving. Nonostante ciò, una ricerca portata avanti dall’Istituto di Scienze Marine del Cnr di Genova (Ismar), dall’Università Politecnica delle Marche (Univpm) e da Greenpeace Italia, durante il tour “Meno Plastica più Mediterraneo”, della nave ammiraglia di Greenpeace, Rainbow Warrior, ha riscontrato che proprio nell’area marina protetta delle Diomedee, i valori delle microplastiche presenti in mare raggiungevano livelli quasi pari a quelli della stazione di Portici a Napoli (2,2 contro 3,56 frammenti per metrocubo). Questo avviene a causa della conformazione geomorfologica della costa garganica, delle correnti dell’Adriatico ma anche delle attività di pesca e acquacoltura presenti in zona. Michele Conoscitore è uno dei pescatori della città di Manfredonia, sulla costa garganica, che hanno aderito ad un’iniziativa dell’associazione Clean Sea Life, che ha interessato quattro regioni italiane che si affacciano su Tirreno ed Adriatico, e punta allo smaltimento del “marine litter” nei porti grazie alla collaborazione dei pescatori. Il progetto co-finanziato dall’Unione Europea ha monitorato 34 pescherecci nella loro normale attività nell’arco di una notte in mare. Dai dati raccolti è emerso come le imbarcazioni in poche ore abbiano salpato a bordo, insieme al pescato, una tonnellata e mezza di spazzatura accumulata sui fondali che, una volta portata a terra, è stata smaltita. Nelle reti a strascico, sono finiti attrezzi da pesca perduti o abbandonati, copertoni, bottiglie, sacchetti, teli e stoviglie di plastica, tubi, boe, secchi di vernice e una quantità notevole di reste, le retine di allevamento delle cozze. Quest’ultime, infatti, rappresentano circa un terzo del totale delle plastiche raccolte. Nel nostro paese la pesca ai rifiuti ha ancora scarsa diffusione, a causa dell’assenza di norme di riferimento e iter procedurali chiari ed uniformi sul territorio nazionale. In gran parte dei porti l’area per lo smaltimento dei rifiuti marini non è stata ancora individuata e , anche se dal 2003 la legge solleva il pescatore dal costo dello smaltimento , non è ancora chiaro chi debba invece farsene carico. Il risultato è che in assenza di una filiera a terra che ne assicuri la gestione, i rifiuti raccolti vengono subito rigettati in mare.