ABITARE L’AQUILA - UN VERBO DECLINATO ALL’INFINITO

L’Aquila (Abruzzo), 2022

© Ersilia Tarullo

Ore 3.32 della notte del 6 aprile 2009: il sisma cambia per sempre il volto dell’Aquila.

Oggi, a 13 anni di distanza, gli effetti della gestione dell’emergenza abitativa sono ancora un’eco persistente: il territorio aquilano si trova infatti a fare i conti con l’impatto ambientale, urbanistico, sociale e identitario subito dalla sua collettività. Mentre nel cuore del capoluogo abruzzese la percentuale dei cantieri della ricostruzione completati è del 49% per l’edilizia pubblica e del 82% per quella  privata, uno dei fardelli più ingombranti, allora travestito da ottimale soluzione tempestiva, è costituito senza dubbio dal Progetto C.A.S.E. (Costruzioni Antisismiche Sostenibili ed Ecocompatibili) e M.A.P (Moduli Abitativi Provvisori), il principale intervento realizzato dal governo italiano (ai tempi presieduto da Silvio Berlusconi) al fine di garantire una sistemazione adeguata alle migliaia di sfollati.

Le “New Towns”, così soprannominate dalla stampa, ovvero 185 installazioni abitative per un totale di circa 5.000 appartamenti arredati, si presentano come piccoli, medi o grandi quartieri dormitorio di residenze basse, identiche per dimensione e tipologia, differenti per aspetto e materiali, dislocati in 19 aree periferiche della città, in cui i servizi pubblici sono pochi e gli esercizi commerciali assenti.

Per l’operazione, in deroga a decine di norme in materia ambientale e di pianificazione urbana, furono occupati estensivamente 160 ettari di territorio, espropriati in molti casi a singoli privati o in altri, come accaduto a Assergi e Camarda (frazioni del comune dell’Aquila), ricavati all’interno di zone tutelate dal Parco Nazionale del Gran Sasso.

All’alba del 2023, causa la mancanza di un piano di manutenzione, il futuro degli alloggi, palesemente non temporanei quanto non durevoli, è l'abbandono e il decadimento: meno della metà infatti risulta occupata e più di mille sono inagibili. Con il passare del tempo i numeri cresceranno, mentre le reali possibilità di nuovi utilizzi si abbasseranno e le proposte di soluzione del problema convergeranno in una sola: a L’Aquila la ricostruzione dovrà terminare con una distruzione, quella del progetto C.A.S.E.