PAPIGNO, DO TOCCO ME TIGNO
La storia Nera di un’industria abbandonata

Papigno, Terni (Umbria), 2022

© Alexa Cano Prieto

Il complesso industriale di Papigno, in Umbria, avviato dalla Società Italiana del Carburo di Calcio Acetilene e Altri gas, fonda le sue radici negli ultimi decenni dell’Ottocento intrecciandosi con le importanti attività industriali della zona di Terni, in particolare quella delle grandi acciaierie. La centrale nasce come un vero e proprio gioiello tecnologico con pochi eguali in Italia e all’estero e meta di visite da parte di delegazioni di tecnici ed esperti del settore. Concentrandosi nella produzione di carburo di calcio per il quale occorrevano forti quantità di energia, utilizzò come forza propulsiva l’acqua di cui è ricca la zona e le montagne per la materia prima.

Lo stabilimento di Papigno infatti godeva di due principali punti di forza, la disponibilità di energia elettrica derivata dai fiumi Nera e Velino e il calcare estratto dal monte S. Angelo, immediatamente adiacente ai suoi edifici. Alla produzione di carburo di calcio si aggiunse nel 1907 quella della calciocianamide, un fertilizzante utilizzato in agricoltura derivato dal carburo. La domanda di carburo decrebbe negli anni 50 per la comparsa sul mercato di altre società concorrenziali che furono in grado di praticare prezzi competitivi, con un aggravamento della già precaria situazione gestionale dello Stabilimento.

Il medievale borgo di Papigno rappresenta uno dei centri storici minori più trasformati dall'industrializzazione: sono ancora visibili i tetti "impolverati" dall'inquinamento prodotto dalla fabbrica della Società Italiana per il Carburo di Calcio. I cittadini ricordano ancora come i loro padri e nonni uscivano dallo stabilimento impolverati dalla testa ai piedi, quelle stessa povere che andava ad incrostare i tetti ed i muri lungo la strada; quelle polveri che hanno formato una crosta che ha resistito per decenni ad ogni tipo di intemperie, anche dopo che lo stabilimento della calciocianamide e del carburo è stato chiuso. Da qui il “tignersi” di Papigno.

La chiusura definitiva dello stabilimento elettrochimico di Papigno  venne ufficializzata nel 1973 lasciando alle sue spalle una serie di problemi tra cui quella dei rifiuti chimici di tipo B da smaltire. L’area appena sottostante allo stabilimento venne utilizzata per circa sessant’anni come discarica di servizio del vicino impianto; successivamente la zona è stata adibita a parco pubblico e sono stati creati degli impianti sportivi. Arpa Umbria ha studiato per anni il territorio e conferma che “la presenza di contaminanti distribuiti a macchia di leopardo in prossimità della superficie che registra la presenza di modesti quantitativi di metalli pesanti idrocarburi ha portato all’inserimento dell’ex discarica di Papigno nel sito di Interesse Nazionale di Terni”.

Si parla quindi di corsi d’acqua inquinati e di trasporto di polveri nocivi su terreni agricoli. Il progetto di bonifica (progetto Remida) vuole suddividere la zona interessata in aree distinte sulla base di caratteristiche attuali e delle diverse tipologie di intervento che verranno realizzate. Il progetto esiste da anni, la Regione Umbria non risponde.