LONTANO DAGLI OCCHI, LONTANO DA ROMA
Il paradosso di Santa Palomba

Santa Palomba (Lazio), 2023

© Flavia Todisco

Grazie ai poteri speciali di commissario per il Giubileo 2025, il Sindaco di Roma Roberto Gualtieri  ha annunciato nell’aprile 2022 che la capitale si doterà di un suo termovalorizzatore. Sarà Santa Palomba, nel IX Municipio (20 chilometri a sud di Roma) ad ospitare l’impianto da 600mila tonnellate di rifiuti l’anno che entrerà in funzione nel 2028. L’Unione Europea considera però che prima di arrivare al trattamento termico con recupero energetico dei rifiuti – secondo solo allo smaltimento in discarica degli stessi - bisognerebbe incentivare politiche di prevenzione, riutilizzo e riciclaggio. Le associazioni rappresentanti le varie voci cittadine, da Santa Palomba ai Castelli Romani, si sono unite nella Rete Tutela Roma Sud per opporsi al termovalorizzatore proponendo piuttosto di investire in un’economia circolare del rifiuto.

L’area di Santa Palomba, ricca di storia e dal passato fertile, purtroppo non è nuova ai rifiuti di Roma che dal 1995 vengono smaltiti nella discarica di Roncigliano, al confine con Albano Laziale. Quando non è possibile separare in alcun modo i rifiuti dal terreno, questo deve essere considerato suolo inquinato. È il caso dei quasi tre ettari su cui si estende la discarica, in cui sono stati scavati ed esauriti sette invasi da 8mila metri cubi di rifiuti l’uno. Nonostante la prima denuncia di ARPA Lazio sulla contaminazione di 13 inquinanti nell’acqua di falda sottostante l’impianto risalga al 2011, ad oggi l’area è ancora in attesa di bonifica. Nel frattempo però, a neanche 80 metri dalla discarica, il Villaggio Ardeatino convive da anni con questo stato di inquinamento. Se prima della contaminazione i residenti potevano attingere dai pozzi l’acqua necessaria all’uso domestico, oggi quasi cento famiglie dipendono dalla consegna di acqua potabile delle autobotti di Acea Ato2.

A seguito di diversi ricorsi al Tar Lazio dei comuni limitrofi di Albano Laziale ed Ardea, che si riforniscono anch’essi da quella stessa falda, nel 2022 la Regione Lazio ha commissionato uno studio al Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale dell’Università di Roma La Sapienza per mappare lo stato di inquinamento diffuso dell’area compresa in un raggio di circa 10 km rispetto alla discarica. Secondo il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, il termine “diffuso” si riferisce a “la contaminazione o le alterazioni chimiche, fisiche o biologiche delle matrici ambientali -terreno e acque- determinate da fonti diffuse e non imputabili ad una singola origine”. La responsabilità quindi, oltre che dalla Pontina Ambiente, società proprietaria del sito, è condivisa anche dalle tante aziende che, dai provvedimenti statali della Cassa del Mezzogiorno degli anni Cinquanta, hanno fatto del piccolo borgo agricolo di Santa Palomba un vero e proprio centro industriale.

Eppure l’area in passato portava il nome di Albunea, data la notevole presenza di sorgenti d’acqua sulfurea, di origine vulcanica, dal tipico colore bianco (albus in latino). Per questa abbondanza di acqua i romani, in tarda età imperiale, bonificarono il territorio e crearono un sistema di fossi artificiali per la gestione delle acque. La prosperità e gli interventi di bonifica incentivarono l’agricoltura, tanto che nell’ottavo secolo fu creato un sistema di centri di produzione agricola, le domuscultae (luogo abitato e coltivato). Oggi gli scheletri delle domus abbandonate si alternano a complessi edilizi costruiti in zone isolate e prive dei servizi essenziali, discariche a cielo aperto, industrie e aziende agricole dal futuro incerto, che dovranno fare i conti con 600mila tonnellate di indifferenziata provenienti da Roma ogni anno.