Il profumo del veleno
Il polo industriale di Sarroch (Cagliari)

Sarroch (Sardegna), 2017

© Riccardo Pani

Per raggiungere da Cagliari le spiagge da cartolina della costa sud-occidentale, i vacanzieri rimangono bloccati nel traffico lungo la statale 195 e il paesaggio che si scorge dai finestrini non dà spazio a fantasie. Lì si trova la seconda più estesa raffineria del Mediterraneo, la Saras Raffinerie Sarde S.P.A.

Sono i primi anni sessanta quando Angelo Moratti, industriale milanese, già avventuratosi con profitto nell’industria petrolchimica, fiuta nuove possibilità di guadagno dall’insediamento di un polo industriale in Sardegna e individua l’area ideale del suo progetto imprenditoriale nel comune di Sarroch.

L’industria produce posti di lavoro, ma cannibalizza aree fertili e belle. Ridisegna il paesaggio secondo le proprie esigenze. I frutteti, i pascoli, e le attività economiche proprie dell’economia tradizionale che occupano i racconti dei più vecchi, scompaiono progressivamente. Ugualmente, i pescherecci, che un tempo solcavano le limpide acque del golfo, vedono ridotto il proprio specchio d’acqua. Al loro posto, grosse petroliere giornalmente approdano sui pontili della raffineria per rifornirla di greggio. Il centro abitato, al tempo della fondazione della Saras nel 1962, costituito da poche case, si espande verso il mare, fino a raggiungere la prossimità dello stabilimento industriale, passato negli anni a occupare 280 ettari di superficie.

Ciò che però la fotografia non può segnalare è l’odore acre di idrogeno solforato che, nei giorni di forte vento, infesta il paese, rendendone l’aria pressoché irrespirabile. E come testimoniato dall’autorevole studio epidemiologico pubblicato sulla rivista Mutagenesis (Oxford University Press 2013), anche le condizioni di salute dei cittadini fanno registrare dati allarmanti che equiparano Sarroch a Taichung a Taiwan e Pancevo in Serbia, entrambe città tristemente note per i record di malattie neoplastiche.

Questo reportage si pone l’obiettivo di rappresentare il difficile equilibrio tra attività economiche e comunità spaccata a metà tra chi rivendica il diritto al lavoro e chi è stato costretto all'attivismo politico e a emigrare, a discapito della propria inclusione sociale.