CATTEDRALI NEL DESERTO
Amara utopia di rinascita lungo la costa siracusana.

Siracusa (Sicilia), 2022

© Sofia Farfaglio

Il polo petrolchimico della zona del siracusano in Sicilia è il più grande d’Europa: da Augusta, a Priolo Gargallo, a Melilli sino alle porte di Siracusa, gli stabilimenti hanno cambiato radicalmente la fisionomia del territorio.

Per molti anni in queste zone si è vissuto nella speranza dello sviluppo, del benessere e della ricchezza per una popolazione abituata ad una vita modesta ed all’incertezza del domani. Fino all’inizio degli anni Cinquanta dello scorso secolo infatti, questa zona era caratterizzata da un’economia basata sull’agricoltura, la pastorizia, l’artigianato e la pesca. Poche e piccole le industrie presenti, per la maggior parte dedite alla trasformazione ed alla conservazione di prodotti alimentari e del sottosuolo. Ad Augusta e in qualche altra zona costiera sorgevano poi le saline.

Tutto cambia dopo la seconda guerra mondiale, dal 1949, quando un giovane industriale milanese, Angelo Moratti acquista gli impianti di una raffineria americana dismessa a Longview nel Texas per costruire ad Augusta una raffineria, la Rasiom (Raffineria Siciliana Oli Minerali). L’insediamento industriale venne vissuto come una vera rivoluzione, che andava a aumentare a dismisura il reddito pro capite realizzando così il sogno degli uomini del sud di lavorare nella propria terra senza bisogno di espatriare.

Nel tempo però questa visione è risultata fallace. Se da un lato la nascita del polo può considerarsi un obiettivo importante per la regione siciliana, per il trasferimento in zona di manodopera e per i maggiori redditi, si deve notare che ha prodotto in tempi piuttosto brevi, anche per mancanza di consapevolezza ecologica e di leggi adeguate a tutela della salute, un aumento delle malattie professionali, delle neoplasie, dei nati malformati e dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo.

Veri e propri disastri ambientali sono stati accertati e scoperti solo a grande distanza di tempo, come l'inquinamento delle falde acquifere e il loro progressivo abbassamento a causa del pompaggio ininterrotto per gli impianti di raffreddamento. La mancanza o carenza di normative di sicurezza è stata anche causa di incidenti, come incendi, esplosioni, emissioni improvvise di nubi maleodoranti e variamente colorate.

Il sito di interesse nazionale di Priolo (1998) si sviluppa su una superficie di circa 5.815 ettari a terra e 10.068 a mare, estendendosi nei comuni di Augusta, Priolo e Melilli e Siracusa, già dichiarati “aree di elevato rischio di crisi ambientale” nel 1990. All’interno del perimetro del SIN sono inclusi: le strutture industriali, l’area marina antistante (comprensiva delle aree portuali di Augusta e di Siracusa), numerose discariche di rifiuti anche pericolosi, lo stabilimento ex Eternit di Siracusa e le aree umide delle Saline di Priolo e di Augusta. 

Alla realtà dei fatti, l’eredità del polo pare oggi ben rappresentata dalla desolazione ambientale e dalla rassegnazione di chi qui vive. Una realtà che potrebbe quantomeno migliorare grazie a piani regolatori attuati con precisione e puntualità. In pochissimi si sentono di affrontare concretamente la drammatica questione scendendo nelle strade e facendo movimento nel recepire iniziative, con pressioni sulle amministrazioni locali, sui partiti e su istituzioni regionali e autorità nazionali.

La maggioranza dei giovani sa che c’è una zona industriale petrolchimica che inquina, ma oltre questo il vuoto, il futuro però non può che essere nelle loro mani.