CRY ME A RIVER

Valle del Tirino (Abruzzo), 2022

© Laura Barbella

Se si digita online la parola “Tirino” i risultati della ricerca esaltano il corso del fiume Tirino, che attraversando il cuore verde d’Abruzzo, viene definito il più limpido e blu d’Italia. Aggiungendo però alla ricerca la parola “discarica” il primato è decisamente spaventoso. Risulta infatti che già nel 2007 diverse migliaia di metri quadrati di terreno nelle aree adiacenti il polo chimico di Bussi sul Tirino vennero sequestrate dal Corpo Forestale dello Stato, definendo l’area «la più grande discarica di veleni d’Europa».

Nel 2022, a distanza di quindici anni dal sequestro, dopo diversi processi e intoppi burocratici, sono finalmente iniziati i lavori di bonifica di una delle aree interessate, ma siamo ancora lontani da un lieto fine. La storia di questo disastro ambientale e delle sue contraddizioni inizia più di cento anni fa quando la Valle del Tirino, incastonata tra parchi nazionali e riserve naturali, viene identificata come il luogo più adatto per l’insediamento di un polo chimico: strategicamente posizionata sulla statale Tiburtina tra la capitale e l’Adriatico, ben collegata dalla storica linea ferroviaria Roma-Pescara e arricchita dalla fondamentale risorsa idrica del fiume Tirino. A fine Ottocento cominciano le opere di presa e derivazione del fiume per creare le centrali idroelettriche che avrebbero alimentato il polo chimico e nel 1902, nella località di Bussi Officine,  viene inaugurato il primo impianto italiano di elettrolisi di cloruro di sodio, grazie al quale inizia il processo di industrializzazione della valle, fino ad allora dedita all’agricoltura e all’artigianato.

Nel tempo il polo chimico ha generato ricchezza e lavoro, ma anche sostanze tossiche e persino armi chimiche, inquinando l’ambiente per oltre un secolo. Ad aggravare una già importante contaminazione causata dalla perdita di tonnellate di inquinanti degli impianti, si aggiunge la situazione illecita delle discariche, in cui sono state stoccate 500.000 tonnellate di rifiuti industriali, situate in un’area a rischio idrogeologico e vicina a pozzi di acqua potabile.

I dubbi sullo stato del terreno e delle acque sotterranee sorgono già negli anni Settanta ma è solo nel 2003 che emergono i primi elementi allarmanti. Nonostante il sequestro delle discariche e la conseguente istituzione da parte del Ministero dell’Ambiente del Sito di Interesse Nazionale di Bussi sul Tirino, per fare luce sulla situazione e ottenere dati certi sulla contaminazione bisogna aspettare i risultati di un lungo braccio di ferro tra gli attivisti e gli enti e le istituzioni coinvolte. Cloroformio, esacloroetano, tetracloruro di carbonio, sono solo alcune delle sostanze nocive e cancerogene rinvenute nel terreno e si stima che almeno 700.000 abitanti della valle abbiano utilizzato acqua contaminata. Nel 2019 il SIN di Bussi entra a far parte dello Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento che conferma quale principale fonte di rischio l’acqua potabile distribuita dall’acquedotto Giardino «che ha utilizzato, miscelandole, anche le acque emunte da pozzi contaminati dall’attività̀ industriale»  e che, per una corretta valutazione del rischio, occorrerebbero studi approfonditi sui residenti di tutti i comuni serviti dallo stesso acquedotto.